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Viaggio in Italia di Goethe



Johann Wolfgang Goethe è in Italia fra il 1786 e il 1788, ma pubblica la prima delle tre parti del suo Viaggio in Italia, soltanto nel 1816, ventotto anni dopo, sulla base di diari e lettere destinati alla signora von Stein, a Herder e agli amici di Weimar.

"se mi propongo di scrivere parole, sono sempre immagini quelle che sorgono ai miei occhi: della terra feconda, del mare immenso ...".

Goethe muove alla ricerca di un'Italia metafisica, di minerali e strati geologici da classificare e di opere d'arte da studiare; ricerca fra le colonne e le vestigia più intatte, la testimonianza di una civiltà eccelsa. Quindi non si propone come meta primaria lo studio delle condizioni sociopolitiche. Questa priorità di interessi non esclude la sensibilità per i caratteri e i costumi degli italiani, che non sono idealizzati secondo il cliché inaugurato dai romantici, ma osservati con un senso acuto per la realtà della loro natura.

“… Il venir sempre a contatto con nuova gente mi permette di raggiungere pienamente il mio scopo: per avere un’idea viva dell’intero paese, è necessario ascoltare i discorsi che fanno tra loro. E’ incredibile come nessuno vada d’accordo con l’altro; le rivalità provinciali e cittadine sono accesissime, come pure la reciproca intolleranza; i ceti sociali non fanno che litigare, e tutto ciò con una passionalità così acuta e così immediata che, si può dire, da mane a sera recitano la commedia e fanno mostra di sé.”

Così si spiega l'indifferenza del poeta per le divisioni e i confini fra stati e staterelli che allora costituivano la fisionomia della Penisola e che erano destinati, a poco più di un decennio dalla sua partenza, ad essere cancellati dalla storia da Napoleone Bonaparte: il Vescovato di Trento o la Repubblica di Venezia, o ad essere decurtati dei loro territori come l'allora decrepito Stato Pontificio, o squassati nella monotonia di un letargo secolare, come il Regno delle Due Sicilie. Esulano dagli orizzonti di Goethe, sia la declinante Repubblica di Genova, sia il vitale Regno di Sardegna, troppo poveri di monumenti e statue classiche; mente la Lombardia austriaca sarà attraversata da Goethe solo durante il ritorno per soddisfare l'ansia di vedere, a Milano, il Cenacolo di Leonardo.
Una delle riserve più frequenti da parte dei lettori della Italienische Reise è la parzialità, potremmo dire la faziosità, di questo viaggiatore sui generis, che trovandosi in Italia, non si ferma più di tre ore a Firenze, perché smanioso di arrivare al più presto a Roma; passa per Assisi e non degna di uno sguardo la chiesa di San Francesco; a Roma trascura Santa Maria in Trastevere e a Palermo le meravigliose Cattedrali arabo-normanne. L'elenco potrebbe continuare all'infinito, anche perché il viaggio di Goethe per il sud si svolge sul lato tirrenico, dimenticando Marche, Abruzzi e Molise, Basilicata, Puglia, e saltando a pié pari la Calabria, raggiungendo la Sicilia via mare da Napoli; viaggio che, per altro, sarà rapido e molto parziale.
Goethe in Italia si accosta con impegno alla Storia dell'Arte nell'antichità di Winckelmann, il quale gli insegna il metodo storico basato sullo studio delle successioni degli stili, diverso dalle concezioni tardoromantiche di Vasari, che limitava la sua indagine a una serie cronologica di biografie di artisti. 

L'Italienische Reise si inserisce in una lunga tradizione dell’amore degli intellettuali tedeschi per l’Italia, terra d'elezione per perfezionare il proprio iter di artista: un esempio dei più paradigmatici è Albrecht Dùrer. Nel tardo Settecento il viaggiatore tedesco esigente che voleva percorrere la penisola si serviva di un’opera enciclopedica, in tre grossi volumi, stampata a Lipsia fra il 1770 e il 1771. Il titolo merita di essere tradotto integralmente perché chiarisce gli intenti su materia e metodo: "Notizie storico-critiche d’Italia che contengono una descrizione precisa di questo paese, degli usi e costumi, della forma di governo, commercio, economia, dello stato delle scienze e in particolare delle opere d’arte insieme con un giudizio su di esse. Composta sulla base delle più recenti descrizioni di viaggio francesi e inglesi e di annotazioni originali dal dr. JJ. Volkmann". Il quale, nella prefazione, riconosce i debiti ai suoi numerosi predecessori, specie francesi, e in particolare alla summa enciclopedica dell’Italia, in otto volumi in dodicesima, uscita nel 1769: Jéréme de Lalande, "Voyage d’un Frangois en Italie, fait dans les années 1765 et 1766"Contenant l’Histoire et les Anecdotes les plus singuliers de l’Italie, et sa description; les Moeurs, les Usages, le Gouvernement, le Commerce, la Littérature, les Arts, l’Histoire Naturelle et les Antiquités; avec des jugements sur les Ouvrages de Peinture, Sculpture et Architecture et les Plans de toutes les
grandes villes d’Italie, Venise et Paris, 1769. 

I titoli per esteso rivelano la meticolosità catalogatrice di queste guide redatte con i criteri universali seguiti dai redattori della Encyclopédieil consigliere più vicino a Goethe nel suo viaggio è sempre il Volkmann; i suoi tre volumi fanno parte del bagaglio del poeta quando parte da Karlshad. Soltanto per la Sicilia avrà bisogno di rivolgersi a un’altra fonte, Johann Hermann Riedesel, "Reise durch Sizilien und Grossgriechenland". "Zwei Sendschreiben an Winckelmann", Zurick 1771, in quanto la descrizione del Volkmann si arrestava a Napoli.

Tra gli altri libri sull'Italia, l'8 marzo 1818, Goethe  scriveva all'amico Zelter per sollecitargli la lettura  di un libro curioso, "Rome, Naples et Florence en 1817"  titolo di un racconto di viaggio di Stendhal, il cui titolo non corrisponde esattamente al contenuto del libro: il viaggio dell'autore avviene anche attraverso diverse altre città italiane.


Passi da “Viaggio in Italia”

“… che bizzarra creatura è mai l’uomo, capace di rendere fastidioso e pericoloso a se stesso ciò che potrebbe godere con sicurezza in buona compagnia, per il solo capriccio di volersi appropriare a sua guisa del mondo e dei suoi contenuti.”

“… La tragedia … E’ lo spettacolo fatto apposta per questo popolo (gli italiani), che cerca la commozione nelle forme più crude e non partecipa intimamente, teneramente, alla sorte dell’infelice, ma gusta solo il bell’eloquio dell’eroe: poiché tengono molto ai bei discorsi, ma poi vogliono ridere e ascoltare insulsaggini.”

“… Osservando sul luogo le magnifiche costruzioni che quell’uomo (Palladio) creò, e vedendole lordate dai bassi e triviali bisogni degli uomini, ………. e come questi stupendi monumenti di un elevato spirito umano mal si adattino alla vita comune, non si può non pensare che lo stesso avviene per ogni cosa; poca gratitudine si ottiene infatti dagli uomini quando si cerca di innalzare le loro intime esigenze, di dar loro una grande idea di se stessi, di farli capaci della bellezza autentica e nobile. Ma se la si dà a intendere ai merlotti, se li si incanta con le frottole perché possano tirare avanti giorno per giorno, se insomma li si peggiora, allora si è ben accetti; e perciò la nuova epoca di tante scipitaggini………….. dico solo che gli uomini sono così. e che non c’è da meravigliarsi se tutto va come va.”

“… Il venir sempre a contatto con nuova gente mi permette di raggiungere pienamente il mio scopo: per avere un’idea viva dell’intero paese, è necessario ascoltare i discorsi che fanno tra loro. E’ incredibile come nessuno vada d’accordo con l’altro; le rivalità provinciali e cittadine sono accesissime, come pure la reciproca intolleranza; i ceti sociali non fanno che litigare, e tutto ciò con una passionalità così acuta e così immediata che, si può dire, da mane a sera recitano la commedia e fanno mostra di sé.”

“… Sono già qui da sette giorni, e a poco a poco si precisa nel mio animo un’idea generale di questa città. Ma, confessiamolo, è una dura e contristante fatica quella di scovare pezzetto per pezzetto, nella nuova Roma, l’antica; eppure bisogna farlo, fidando in una soddisfazione finale impareggiabile. Si trovano vestigia di una magnificenza e di uno sfacelo che superano, l’una e l’altro, la nostra immaginazione. Ciò che hanno rispettato i barbari, l’han devastato i costruttori della nuova Roma. Quando si considera un’esistenza simile, vecchia di duemila anni e più, trasformata dall’avvicendarsi dei tempi in modi così molteplici e così radicali, e si pensa che è pur sempre lo stesso suolo, lo stesso colle, sovente perfino le stesse colonne e mura, e si scorgono ancora nel popolo tracce dell’antico carattere, ci si sente compenetrati dei grandi decreti del destino; tanto che da principio è difficile all’osservatore discernere come Roma succeda a Roma; e non già soltanto la Roma nuova all’antica, ma ancora le varie epoche dell’antica e della nuova sovrapposte l’una all’altra… E da quet’immensità emana su noi un senso di pace mentre corriamo da un capo all’altro di Roma, per conoscerne i massimi monumenti. In altri luoghi bisogna andar a cercare le cose importanti: qui se n’è schiacciati, riempiti a sazietà. Si cammini o ci si fermi, ecco che appaiono panorami d’ogni specie e genere, palazzi e ruderi, giardini e sterpaie, vasti orizzonti e strettooie, casupole, stale, archi trionfali e colonne, spesso così fittamente ammucchiati da poterli disegnare su un foglio. Per descriverlo ci vorrebbero mille bulini; a che può servire una sola penna? E la sera si è stanchi e spossati dal tanto vedere e ammirare. Vogliano perdonarmi gli amici se in avvenire mi troveranno parco di parole; quando si viaggia, si afferra di passata quel che si può, ogni giorno porta qualcosa di nuovo, e si va in fretta anche nel ripensare e nel giudicare ciò che si è visto. Ma qui si entra in una scuola davvero grande, dove un sol giorno parla di tante cose, che di parlare di quel giorno non basta l’animo. In verità, chi si fermi qui per anni farebbe bene a osservare un silenzio pitagorico.”  

“… Quest’Italia, tanto favorita dalla natura, è rimasta estremamente indietro rispetto agli altri paesi per tutto ciò ch’è meccanica e tecnica, sulle quali senza dubbio si fonda ogni progresso verso un’esistenza più comoda e più sciolta. … e lo stesso si dica per le case dove abitano e per tutto il resto. Se si vuole ancora vedere realizzata la primitiva idea poetica degli uomini che, vivendo per lo più all’aria aperta, solo talvolta erano costretti dalla necessità a cercar ricovero nelle caverne, non si ha che da entrare nelle case qui attorno, segnatamente in quelle di campagna; delle caverne esse conservano il senso e perfino il gusto. Quest’incredibile incuria della gente è dovuta al timore che i pensieri la facciano invecchiare. Con inaudita leggerezza trascurano di prepararsi all’inverno, alle lunghe notti, ragion per cui soffrono come cani una buona parte dell’anno. Qui a Foligno, in una casa dall’andamento assolutamente omerico, dove tutti siedono in uno stanzone attorno al fuoco acceso sul nudo terreno, e gridando e schiamazzando intorno a una lunga tavola come nei quadri delle nozze di Cana, colgo a volo l’occasione di scrivere queste righe, perché un tale – cosa a cui non avrei mai pensato in simili circostanze – ha mandato a cercare un calamaio; ma basterà questo foglio a darvi l’idea del freddo e della scomodità del tavolo su cui scrivo. Ora m’accorgo di quanto sia temerario avventurarsi senza compagni e impreparati in questo paese. La diversità del danaro, i vetturini, i prezzi, le cattive locande sono un tormento giornaliero, a tal punto che, chi come me, viaggi da solo per la prima volta cercando e sperando un godimento incessante, non può che sentirsi molto oppresso.”


“… Troppo era maturata in me la sete di vedere questo paese; adesso che è appagata, patria e amici tornano a essermi profondamente cari, e desiderabile il ritorno; tanto più desiderabile, in quanto sento con certezza che non riporterò meco tanti tesori per mio esclusivo uso e possesso, ma perché servano di guida e di sprone a me e agli altri per tutta la vita.”

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